PARALUCE MILITARE LEICA PER LO STUKA
Testo e foto di Fabrizio Pangrazi
Per tutta la durata del secondo conflitto mondiale, l’aviazione tedesca utilizzò l’aereo Junker 87, meglio conosciuto come “STUKA”, parola derivante dalla sua principale caratteristica di proiettarsi in picchiata per bombardare con precisione i bersagli. Il velivolo, allo scopo di intimorire l’avversario, fu volutamente equipaggiato di una sirena azionata dalla forza dell’aria nella spericolata discesa. Anche la Regia Aereonautica Italiana ebbe in dotazione per un certo periodo, con il soprannome di “picchiatello”, i temibili Stuka per bombardare i propri obiettivi militari. Nel secondo conflitto mondiale, la Leica, per le sue consolidate doti di qualità e robustezza, fu utilizzata in modo massiccio da tutti i settori che componevano il maestoso esercito tedesco. La Luftwaffe, la prestigiosa aviazione Tedesca, fu la maggior utilizzatrice del famoso apparecchio, l’unico che si rendeva ampiamente affidabile in condizioni avverse, come le basse temperature registrate ad alta quota. La stessa, esigeva dalle missioni dei suoi piloti, un ampia documentazione fotografica che potesse, oltre che convalidare il loro operato, ritornare utile per la propaganda nazionalistica e per le proprie strategie militari. Alla fine dell’anno 1941, Wilhelm Albert, che fu in passato uno stretto collaboratore di Oskar Barnack, ebbe l’incarico di assemblare un particolare paraluce da impiegare con la fotocamera Leica III C in combinazione con l’obiettivo Summitar 50 mm. f/1:2 e l’avanzamento rapido SCNOO-C, per essere impiegato dall’equipaggio degli aerei STUKA.
In queste immagini il paraluce semilavorato. La sua verniciatura e le incisioni differiscono dal paraluce sono opera di un successivo restauro dello storico Gianni Rogliatti.
La manopola per il serraggio del modello semilavorato, pur essendo originale dell’epoca, riporta una godronatura meno rifinita dell’esemplare definitivo.
Per l’attuazione di questo particolare accessorio, Albert fu sicuramente ispirato dal paraluce pieghevole SOOPD e dalla borsa speciale EPZOO, costruendoci attorno un robusto involucro aereodinamico, parzialmente aperto, in alluminio pressofuso. Lo scopo di tale realizzazione era quello di poter fornire una attrezzatura in grado di essere utilizzata con maggior stabilità in presenza di forti vibrazioni prodotte dal velivolo ed evitare noiose diffrazioni di luce causate dai vetri arrotondati dell’abitacolo dello STUKA. L’accessorio era studiato per essere impugnato con maggior sicurezza dai grossi guanti degli aviatori e per essere utilizzato con estrema facilità anche da quei copiloti a digiuno di tecnica fotografica. Non abbiamo certezze che il paraluce ideato da Albert sia stato dato in dotazione ai piloti della Luftwaffen e con grande probabilità il manufatto rimase solo allo stato di prototipo. Il paraluce originale, che ho la possibilità di illustrare, ci permette per la prima volta di osservare il vero colore grigio-verde che fu utilizzato per la verniciatura. Non riporta numeri che possano ricondurre ad una commessa militare. Questo rarissimo e sicuramente unico esemplare “finito” fu ritrovato alla fine degli anni ’60 nei magazzini della stessa Leitz e salvato dalla rottamazione insieme ad alcuni esemplari semilavorati.
Con essi è stata rinvenuta la piastra originale in ottone che fu impiegata per trascrivere con il pantografo in rapporto 1:10 le incisioni sulla superficie del paraluce. Su di esso la scritta in lingua tedesca “ Sonneblende fur Luftaufnahmen Objektiv Summitar f 5cm 1:2” (paraluce per riprese aeree con l’obiettivo Summitar f 5 cm 1:2) ne indicava chiaramente il campo di impiego.
La speciale borsa EPZOO, permetteva di ospitare l’apparecchio Leica corredato di obiettivo Summitar e l’avanzamento rapido SCNOO. La fotocamera veniva assicurata alla borsa con una speciale manopola, dotata si serraggio a baionetta. La stessa soluzione fu adottata per il paraluce militare.
Insieme al paraluce, fu rinvenuta la targa in ottone utilizzata nella fabbrica di Wetzlar per incidere con esatto rapporto di scala, le scritte identificative.
Nelle immagini che seguono si cercherà di mettere a confronto la realizzazione finale e i semilavorati salvati all’epoca dalla rottamazione
In questo confronto, si può osservare lo spessore della pressofusione in alluminio che nell’esemplare “finito” è stato notevolmente assottigliato con abile fresatura.
All’interno del paraluce semilavorato si possono notare le unioni dell’assemblaggio e le tracce di residui di lavorazione
Il paraluce SOOPD applicato all’obiettivo Summitar. L’interno del paraluce per lo STUKA ne riporta le affinità.
Vista frontale del paraluce che evidenzia la sua linea aereodinamica. Il vano per l’obiettivo dell’esemplare “finito” è verniciato con finitura grigio scuro per attenuare le riflessioni della luce.
Due immagini che mettono in evidenza le differenze estetiche dei due esemplari. Il foro filettato alla destra del paraluce poteva accogliere una seconda manopola da impiegare quando veniva sostituito il dispositivo di avanzamento rapido con il fondello standard.
Le viste laterali ci evidenziano l’ulteriore lavorazione di fresatura per l’esemplare in versione definitiva (foto sopra). Questa operazione fu sicuramente ritenuta idonea per migliorare l’impugnatura dell’apparecchio fotografico con i guanti indossati dall’aviatore.
Il disegno originale del 25 giugno 1942, ci permette di constatare gli esatti dettagli che si riscontrano nell’esemplare definitivo.
Nel modello semilavorato, l’asola che accoglie l’attacco per il treppiede riporta una forma più squadrata del modello definitivo. Questo particolare non può essere opera di ulteriore fresatura e la sua differenza può farmi pensare che i semilavorati siano la realizzazione di un secondo progetto.
La targhetta avvitata all’interno della particolare custodia, riporta la scritta “Objektiv auf unendlich stellen Filter erst aufschrauben, dann Leica einsetzen” ( Portare la ghiera della messa a fuoco nella posizione infinito, prima di usare la Leica). La targhetta e l’iscrizione all’interno del paraluce definitivo è originale e scritta con un tipo di carattere usato dalla Leitz per le varie iscrizioni sui propri prodotti. Mentre nel pezzo semilavorato viene riportata una ricostruzione di Gianni Rogliatti, poiché i vari pezzi ritrovati in fabbrica ne erano privi.
Anche per la iscrizione interna, fu ritrovata la targa originale in ottone, che riporta la scritta con un tipo di carattere differente da quello impiegato per incidere il modello definitivo. Probabilmente fu realizzata successivamente (1942?) per assemblare un secondo progetto.
Ulteriore opera di fresatura intorno all’anello interno che accoglie l’ottica. Evidente la mancanza di tale lavorazione nell’esemplare non ultimato.
Una serie di paraluci semilavorati che furono restaurati da Gianni Rogliatti.
In origine, quando furono ritrovati in fabbrica, erano in forma grezza, senza verniciatura e privi di iscrizione. La vicenda fu scritta dallo stesso Rogliatti che scrisse, firmandolo personalmente, un documento di garanzia, da allegare ad ognuno di questi preziosi reperti.
Malignamente, malgrado le testimonianze dirette, qualcuno pensa ancora oggi, che queste realizzazioni siano frutto di una ricostruzione contemporanea tutta italiana. Ma la storia è vera al 100% !
Qui di seguito riporto lo scritto di Rogliatti, redatto in lingua italiana e inglese
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